Lavoro Agile – Smart Working

Con la L. n. 81/2017 il legislatore ha disciplinato per la prima volta il lavoro agile quale modalità di svolgimento del lavoro subordinato, lasciando aperti notevoli dubbi, tra cui quello definitorio, in rapporto ad altre forme già codificate, ma poco frequenti, come il lavoro a domicilio o il telelavoro. La stessa collocazione all’interno della L. 81/2017 – nota con il nome giornalistico di “Jobs act autonomi” – è apparsa poco chiara, proprio perché questa fattispecie doveva regolare una nuova fattispecie di la-voro autonomo non imprenditoriale, mentre il legislatore ha scelto, in ultima battuta, di collocarlo stabilmente come modalità di esecuzione del lavoro subordinato (RICCI, G., Il lavoro a distanza di terza generazione, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2018, 3, 632).

I neologismi “lavoro agile” e “smart working” danno una veste giuridica a prassi e forme di lavoro già ampiamente diffuse (FIORILLO, L., Il lavoro agile: continua il pro-cesso di ridefinizione del Diritto del lavoro, in FIORILLO, L., PERULLI, A., (a cura di), Il jobs act del lavoro autonomo e del lavoro agile, Torino, 2018, 165) volte secondo l’espressa indicazione legislativa ad “incrementare la competitività e agevolare la con-ciliazione dei tempi di vita e di lavoro”(Dir. Min. Semplificazione 1 giugno 2017, n. 3). La ratio legis va ricercata, quindi, nel miglioramento della competitività dell’azienda, ma anche nella facilitazione della conciliazione tra esigenze di vita ed esigenze di lavoro (CARUSO, B., “The bright side of the moon”: politiche del lavoro personalizzate e promo-zione del welfare occupazionale, in Riv. it. dir. lav., 2016, I, 2, 177), obiettivi “alti”, in quanto espressione di valori costituzionali contenuti, rispettivamente, nell’art. 41 Cost. da un lato e negli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. dall’altro. Tuttavia, se questi sono gli obiettivi che la legge si prefigge non può certamente negarsi che sia necessario il raggiungi-mento di un delicato equilibrio tra esigenze organizzative ed esigenze della persona, ma occorrono anche interventi legislativi o da parte della contrattazione collettiva “uti-li a individuare i giusti pesi e contrappesi” (TIRABOSCHI, M., Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 2017, 25).

Una prima distinzione posta in rilievo dalla disciplina è costituita dalla differenza tra lavoro agile e la tradizionale definizione di lavoro a domicilio. Non esiste una defi-nizione codicistica di lavoro a domicilio, che resta assoggettato alla disciplina del la-voro subordinato ex art. 2128 cod. civ., ma si può desumere dalla disciplina speciale dell’art. 1 della L. n. 877/1973 secondo cui “è lavoratore a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locale di cui abbia di-sponibilità, anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata e di apprendisti, lavoro retribuito per conto di uno o più imprenditori, utilizzando materie prime o accessorie e attrezza-ture proprie o dello stesso imprenditore, anche se fornite per il tramite di terzi”. Tale forma di esecuzione remota della prestazione lavorativa rappresenta una tipologia le-cita di decentramento produttivo. La prestazione lavorativa resa in termini decentrati rispetto alla sede aziendale risulta infatti complementare rispetto al processo produtti-vo “interno” avendo per oggetto la “esecuzione parziale, nel completamento o nell’in-tera lavorazione di prodotti oggetto dell’attività dell’imprenditore committente”. Pertan-to, il lavoratore a domicilio è integrato nella produzione aziendale di cui sviluppa in remoto ed in termini parcellizzati una fase della lavorazione. Il lavoro a domicilio, pe-rò, rappresenta per le modalità di sua eventuale esecuzione una tipologia che si bar-camena tra autonomia e subordinazione. Ed infatti, sebbene chiaramente definito co-me avente natura subordinata ai fini della sua regolamentazione giuridica, in via di fatto il lavoro a domicilio si esplica indipendentemente dal rispetto delle coordinate di tempo e di luogo ed in assenza di quella individualità della prestazione tipiche degli ambienti lavorativi. Non solo il lavoratore a domicilio presta il proprio lavoro a distan-za ed in un luogo a propria disposizione e lo presta solitamente dandosi propri ritmi autonomi ed indipendenti dal canonico orario aziendale ma può farsi aiutare anche dai suoi familiari e/o conviventi. In questo caso l’unicità del rapporto nasconde una potenziale pluralità di prestatori che rimane indifferente rispetto alla regolarità del rapporto ed alla sua unicità. Si tratta di un lavoro ripartito ante litteram che qualifica come speciale il vincolo di subordinazione di tale forma contrattuale ben diversa da quella cristallizzata nell’art. 2094 c.c.; inoltre, la prestazione, in questo caso, non ha alcuna connessione con l’uso di tecnologie che connettano il lavoratore alla produ-zione aziendale attraverso strumenti digitali e ciò fa in modo che l’autonomia, sia dei mezzi di produzione che delle modalità esecutive, risulti, in questa forma di lavoro, un tratto più marcato rispetto al lavoro agile.

Un’ altra questione riguarda la differenza tra il lavoro agile ed il cd. telelavoro, che rappresenta una diversa forma di lavoro a distanza in cui i datori di lavoro, con l’obiettivo di razionalizzare l’organizzazione e realizzare economie di gestione attra-verso l’impiego flessibile delle risorse umane, possono installare apparecchiature in-formatiche e collegamenti telefonici e telematici, necessari ed autorizzare i propri di-pendenti ad effettuare, a parità di salario, la prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede di lavoro, previa determinazione delle modalità per la verifica dell’adempi-mento della prestazione lavorativa (art. 4 L. 191/1998), mentre il lavoro agile sarebbe volto alla sperimentazione di nuove modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione lavorativa. Occorre, quindi, “tenere conto della differenza tra lavoro agile e telelavoro ed evitare di ridurre la flessibilità ad una mera prestazione lavorativa da ca-sa, mantenendo ferme rigidità che non sono richieste atteso che l’attenzione si sposta dal rispetto di un orario di lavoro al raggiungimento di un risultato” (Linee Guida in materia di promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro pubblicate in G.U., Serie Generale 17 luglio 2017, n. 165). Oltre che nei tempi di lavoro, scelti dal prestatore, la differenza tra telelavoro e lavoro agile risiede nell’assenza di una postazione fissa, ritenendo che il telelavoro sia caratterizzato da tale tratto distintivo rispetto alla natura mobile della postazione del lavoratore agile all’esterno (SANTORO PASSARELLI, G., Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. INT, 327/2017, 8; TASCHINI, L., Smart Working: la nuova disciplina del lavoro agile, in Mass. Giur. lav., 2017, 6, 383; DAGNINO, E., Lavoro agile: una questione definitoria, DAGNINO, E., TIRABOSCHI, M. (a cura di), Verso il futuro del lavoro – Analisi e spunti su lavoro agile e lavoro autonomo, ADAPT University Press, 2016, 26;), anche se effettivamente non esiste una differenza espressa in tal senso nella normativa fatta eccezione per l’art. 1 dell’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, che recepiva l’accordo-quadro euro-peo sul telelavoro del 16 luglio 2002, il quale menzionava il fatto che il telelavoro do-vrebbe essere svolto da una postazione fuori dei locali aziendali. In ogni caso la rego-larità della prestazione lavorativa resa da remoto, da intendersi come continuità o ripe-titività e non come totalità, inidonea a costituire un vero e proprio tratto distintivo del telelavoro (TIRABOSCHI, M., cit.).

La mobilità della forma di lavoro agile è testimoniata propriamente, quindi, dall’assenza di precisi vincoli di orario, con la previsione, quale contrappeso alla de-scritta libertà, di esercizio entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. In linea con le previsioni comunitarie, comunque, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo giornaliero continuativo. Nella restante parte della sua giornata di lavoro, invece, il lavoratore agile sarà libero di svolgere la propria prestazione lavorativa nell’orario che riterrà preferibile, nel rispetto delle otto ore di lavoro giornaliere, da intendersi quale durata massima della giornata lavorativa, nonché nel limite delle quaranta ore setti-manali, da intendersi come durata massima settimanale. Nulla vieta, però, al dipen-dente di spalmare la propria prestazione lavorativa come meglio crede e anche per un numero di ore inferiori alle otto giornaliere e alle quaranta ore settimanali, non essen-do quest’ultimo tenuto a precisi vincoli di orario.

Tuttavia, si potrebbe anche dire che il lavoro agile altro non sia se non “un altro modo di chiamare il telelavoro subordinato” (MAZZOTTA, O., Lo statuto del lavoratore autonomo ed il lavoro agile, in Il Quotidiano Giuridico, 1 febbraio 2016) o un “telelavoro evoluto” (TULLINI, P., C’è lavoro sul web?, in Lab.& Law Iss., 2015, 12), con tutto ciò che ne consegue in termini di disciplina applicabile, soprattutto quando le modalità in concreto applicate nella forma più libera (lavoro agile), siano poi attuate in modo da risultare identiche alla forma più rigida (telelavoro).

In questo aspetto si risente di un dato estraneo al lavoro, ma connesso all’evolu-zione tecnologica, e cioè che le strumentazioni informatiche e telematiche sono molto più sofisticate che in precedenza e incidono maggiormente sullo sviluppo della pro-fessionalità del lavoratore, sul coordinamento spazio-temporale della prestazione di lavoro e sulla scelta dei tempi e delle modalità di esecuzione della prestazione di la-voro.

Il lavoro, così, anche subordinato, procede verso una modalità condotta da obiettivi, secondo logiche di risultato e di autodeterminazione, proprie della opposta categoria del lavoro autonomo (DONINI, A., Nuova flessibilità spazio-temporale e tecnologie: l’idea del lavoro agile, in TULLINI, P. (a cura di) Web e lavoro: profili evolutivi e di tutela, Torino, 2017, 82-84). Il lavoro agile, in questa ottica, rappresenta un superamento del lavoro subordinato in termini di obbligazione di mezzi, con la conseguenza che la prestazione di lavoro verrà esaminata ora anche (o soprattutto) per i risultati consegui-ti, secondo una valorizzazione della professionalità, delle competenze e dell’apporto del singolo alla creazione di valore per l’impresa (BIAGI, M., Competitività e risorse umane: modernizzare la regolazione dei rapporti di lavoro in Riv. it. dir. lav., 2001, 3). Nel lavoro agile, la prestazione lavorativa viene esentata dal coordinamento spazio/temporale con l’organizzazione aziendale nel senso tradizionale, avvicinandosi maggiormente alla continuità della prestazione di lavoro, in tal modo venendo così ad assumere i connotati della prestazione autonoma (ICHINO, P., Bene sul lavoro autono-mo, ma troppo piombo nelle ali del “lavoro agile”, in www.pietroichino.it).

In questo senso, l’attività è organizzata dal committente, tenuto conto che la pre-stazione svolta all’esterno non avviene su una postazione fissa, solo che questa orga-nizzazione non è unilaterale come ci sarebbe potuto aspettare secondo l’impostazione consolidata in tema di etero-direzione, ma concordata, anche se poi l’esercizio effetti-vo del potere direttivo, di controllo e disciplinare è rimesso alla iniziativa del datore stsso, con l’ulteriore problema di come debba venir giudicato il mancato adeguamen-to da parte del lavoratore alle direttive (CARINCI, F., La subordinazione rivisitata alla luce dell’ultima legislazione: dalla “subordinazione” alle “subordinazioni”?, in Arg. Dir. Lav., 2018, 4-5, 961; DE LUCA, M., I giuslavoristi e le innovazioni tecnologiche, in Lavoro nella Giur., 2018, 12, 1109). Per questo, secondo una certa impostazione, il lavoro agile dà vita, nello stesso rapporto, a due tipi di subordinazione: una “normale” ex artt. 2094 ss. c.c. quando l’attività viene svolta in sede, ed una “speciale”, quando viene effettua-ta fuori sede (CARINCI, F., Dalla crisi del diritto alla crisi del processo del lavoro, in Lavo-ro nella Giur., 2019, 2, 113). Questa specialità sarebbe evidenziata dal ruolo particolare attribuito dalla legge all’autonomia individuale, che può disciplinare da sola, senza il sostegno collettivo, le modalità di esercizio della prestazione (SANTORO PASSAREL-LI, G., Lavoro eterorganizzato, coordinato, agile e il telelavoro: un puzzle non facile da comporre in un’impresa in via di trasformazione, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT, n. 327/2017). Il ruolo degli accordi individuali nell’istituto, tuttavia, è stato depoten-ziato, in parte, dall’eccezione prevista dai DPCM 1 marzo 2020, 8 marzo 2020 e dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18 che prevedono l’applicabilità della modalità di lavoro agile nelle zone colpite dal Covid-19 anche in assenza degli accordi stessi, il che ha dimostrato che, con le prescrizioni di legge a fare da norma suppletiva, tale modalità di lavoro può funzionare con le opportune tutele anche senza una pattuizione caso per caso.

Con questa disciplina “mista”, che presenta elementi di autonomia e subordina-zione, si vorrebbe realizzare quel change management volto a sviluppare una nuova cultura organizzativa, in cui la prestazione lavorativa non è più basata sul tempo e sul controllo del lavoratore, ma sui risultati, sulla produttività e sulla fiducia (VILLA, F., Il ruolo delle risorse umane nella nuova legge sul lavoro agile, in Bollettino Adapt, 17 luglio 2017, n. 27).

L’applicazione del lavoro agile nella contrattazione collettiva ad oggi si concentra nel settore alimentare (Barilla, Ferrero, Nestlè, parmalat, San Pellegrino), nel settore energetico (A2A, Enel, Eni GDF Suez Energia Italia, Petronas Lubrificants Italy, Snam), nonché nel settore bancario-assicurativo (Axa, Banca Popolare Etica, Banca del Pie-monte, BNP Paribas, Cariparma, Cridt Agricole, Intesa San Paolo, reale Mutua Assicu-razioni, Unicredit, Zurich). Non mancano, inoltre, iniziative unilaterali, rivolte per lo più ai profili professionali più qualificati, disciplinate attraverso regolamenti interni (Fastweb, Microsoft, Plantronics, Tetra pack Tim, Unilever, Vodafone, Whirlpool) (DA-GNINO, E., TOMMASETTI, P. TOURRES, C., Il “lavoro agile” nella contrattazione collettiva oggi. Analisi sui contenuti di 915 contratti della banca dati www.farecontrattazione.it, in Working Paper, Adapt University Press, 2016, 2).

Si tratta della tradizionale dialettica tra lavoro autonomo e lavoro subordinato che è rimasta irrisolta lungo la storia della legislazione lavoristica, privilegiando sistema-ticamente i lavoratori subordinati e, conseguentemente, cercando di far ricadere in tale categoria sistematica quanti più lavoratori possibili, pur nell’indisponibilità del tipo (SANTORO PASSARELLI, G., Il diritto e il giudice del lavoro, in Riv. Dir. Civ., 2017, 6, 1422).

Al di là delle questioni teoriche, sono fondate le preoccupazioni che la disciplina dei lavori “da casa” spiani la strana a forme di lavoro “povero”, ossia retribuito con modalità, per un quantitativo di ore ridotto, o comunque in modo insufficiente a ga-rantire una vita libera e dignitosa ai lavoratori (MISCIONE, M., I lavori poveri dopo l’e-conomia “a domanda” per mezzo della rete, in Corriere Giur., 2018, 6, 815). In relazione a tali apprensioni, è anche vero l’aver previsto un patto ad hoc rende il rapporto più sta-bile (CARINCI, F., cit.) e quindi diminuisce le apprensioni circa la mancanza di rappor-to reale tra l’organizzazione e il lavoratore, che spesso è premessa fattuale di ragione-volezza delle condizioni.

  L’utilizzo indispensabile e non solo possibile di strumentazioni tecnologiche da parte del lavoratore agile da una parte svincola il lavoratore dalla dipendenza azienda-le, consentendogli di lavorare, in parte, da siti esterni all’azienda, con effetti di mag-giore produttività e di conciliazione vita-lavoro, dall’altro genera potenzialità di perva-sivo controllo sull’attività lavorativa (SITZIA, A., Personal computer e controlli “tecnolo-gici” del datore di lavoro nella giurisprudenza, in Arg. dir. lav., 2017, p. 805). È l’accordo individuale a definire i poteri di controllo datoriale sulla prestazione di lavoro resa all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 l. n. 300/1970. L’impiego di strumenti digitali costituisce elemento essenziale ed indefettibile della prestazione in modalità smart e, di conseguenza, questo fatto li qualifica quali stru-menti di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, con conseguente obbligo di autorizzazione sindacale o amministrativa ai fini del loro impiego ai sensi dell’art. 4, comma 1°, Stat. lav. (TASCHINI, L., cit.).

Si distingue per l’appunto fra gli strumenti tecnologici quali “mezzi” che servono al lavoratore agile per rendere la prestazione lavorativa (che non vanno autorizzati) e quelli che, invece, o perché non realizzano tale funzione o perché sono modificati, con l’aggiunta per esempio di “appositi software di localizzazione o filtraggio”, fini-scono per realizzare la funzione di controllo sull’attività del lavoratore, con conse-guente riconduzione alla disciplina che impone la procedura di autorizzazione (BAR-RACO, E., Il controllo sullo smart worker, in Dir. prat. lav., 2018, 625; Nota Ministero del lavoro e Garante della Privacy del 18 giugno 2015).

Tolto il problema autorizzativo, un ulteriore limite riguarderà a quel punto il trat-tamento dei dati acquisiti dal datore di lavoro: in applicazione dell’art. 4, comma 3°, Stat. lav. questi saranno utilizzabili “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro solo previa adeguata informazione al lavoratore” secondo i postulati fondamentali della disciplina in materia di privacy. Questo genere di tutela si rende tanto più necessaria nel rapporto di lavoro in modalità agile, ove per definizione “gli impianti tecnologici non distinguono l’attività lavorativa da quella personale, per cui immortalano in ma-niera indiscriminata qualunque azione compiuta dal lavoratore in tempo reale” (RICCI, G., cit.).

Ulteriori considerazioni riguardano poi il preciso utilizzo che il datore faccia dello strumento di controllo. Se, ad esempio, esso sia utilizzato come strumento di regi-strazione degli accessi e delle presenze, gli strumenti di questo tipo sono espressa-mente esclusi dal regime di autorizzazione preventiva, essendo considerato alla stre-gua di uno “strumento di lavoro” (Circ. INL 11 febbraio 2018, n. 5). Tuttavia, in materia di mezzi di timbratura come “badge a radiofrequenza”, che consentono un diffuso e costante controllo sulle diverse fasi dell’attività lavorativa, si è equiparato questo strumento ad una forma di “controllo a distanza sull’attività lavorativa” utilizzabile so-lo previa autorizzazione sindacale o amministrativa (Cass. 14 luglio 2017, n. 17351) e considerazioni analoghe potrebbero valere per l’utilizzo di software ad accesso remo-to che consentano un controllo simile.

Un ulteriore problema è posto dalla geolocalizzazione del prestatore di lavoro, mediante l’impiego di strumenti contenuti ed abilitati negli ordinari dispositivi elettro-nici, quali smartphone, tablet, se non la stessa automobile. Anche tali strumenti in linea di massima costituiscano elementi “aggiunti” agli strumenti da lavoro, non uti-lizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa, ma per ri-spondere ad esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro. In tali sembianze, essi non risultano coessenziali allo svolgimento del lavoro e dunque sono impiegabili solo previa autorizzazione sindacale o amministrativa, salvo che siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (Circ. INL 7 novembre 2016, n. 2).

  Con riguardo all’individuazione dei “rischi lavorativi” ai quali è esposto il lavora-tore, data la particolare modalità della prestazione, sussiste il rischio che questi pos-sano restare indeterminati. Per questo ai fini del rapido riconoscimento delle presta-zioni infortunistiche, l’accordo individuale deve definire i rischi, anche sotto il profilo dei riferimenti spazio-temporali, evidenziando che in mancanza l’istituto dovrà proce-dere a specifici accertamenti per verificare la sussistenza dei presupposti sostanziali della tutela; accertamenti non semplici, trattandosi, com’è ormai evidente, di lavoro svolto all’esterno dei locali aziendali, per cui non è agevole stabilire a priori se “l’atti-vità svolta dal lavoratore al momento dell’evento infortunistico sia in stretto collega-mento con quella lavorativa (Circ. Inail 2 novembre 2017, n. 48).

Dubbio è anche il possibile riconoscimento del c.d. infortunio in itinere, che tutta-via è espressamente prevista dalla norma in commento. Deve essere ricompreso, infat-ti, per espressa previsione normativa il percorso casa-lavoro è oscura la prescrizione sulla determinabilità del diritto al risarcimento in ordine alle caratteristiche del luogo prescelto nonché a un non meglio precisato criterio di ragionevolezza (RICCI, G., cit.).

Riccardo Fratini

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