Malattia dei Lavoratori fragili (L. 104/92) e comporto

Dopo la finanziaria, appare evidente che la malattia dei lavoratori fragile non debba computarsi nel comporto medico durante l’emergenza da covid 19.

Il conteggio del comporto effettuato in tale periodo infatti sarebbe comunque erroneo, se non tiene conto delle misure emergenziali emanate in occasione dell’emergenza Epidemiologica da Covid-19.

Infatti, il D.L. 18/2020, all’art. 26 affermava già chiaramente che l’equiparazione della quarantena alla malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento.

Tali periodi non sono da computare per il raggiungimento del limite massimo previsto per il comporto nell’ambito del rapporto di lavoro, periodo durante il quale il lavoratore assente dal lavoro ha diritto alla conservazione del posto[1].

Ai fini del riconoscimento della tutela, il Lavoratore doveva produrre soltanto i certificati di malattia attestanti il periodo di quarantena nel quale il medico curante dovrà indicare gli estremi.

Peraltro, lo stesso art. 26 D.L. 18/2020 prevede una tutela ulteriore più rafforzata per i lavoratori portatori di handicap grave, intendendo tutelarne la salute, avendoli individuati quali soggetti deboli particolarmente a rischio e affermando chiaramente che l’intero periodo di assenza dal servizio debitamente certificato è equiparato addirittura a degenza ospedaliera.

L’interpretazione della norma appena enunciata nelle due lettere precedenti è l’unica corretta e non potrebbe essere altrimenti, in considerazione del fatto che essa è accordata dalla legge non solo ai lavoratori in quarantena perché malati o a rischio, ma persino a quei lavoratori sani che si trovino in quarantena cautelare preventiva dovuta non ad uno stato di fragilità, ma al fatto che essi hanno viaggiato dall’estero e, di conseguenza, devono trascorrere a casa un periodo di quarantena (chiamata «fiduciaria») che parimenti non si computa nel periodo di comporto. Se quindi le imprese sono chiamate a sopportare durante l’emergenza persino l’assenza di lavoratori perfettamente sani, tanto più lo sono nel caso di lavoratori malati e a rischio, come il ricorrente.

Questa interpretazione è l’unica costituzionalmente orientata e legittima, dovendosi altrimenti, sollevare la questione di legittimità costituzionale della disposizione in relazione agli artt. 2, 3, 4, 32, 35 e 38, c. 2, Cost., nella misura in cui la norma interpretata in senso opposto tutelerebbe la salute di un lavoratore sano in misura irragionevolmente maggiore di quella di uno malato, a rischio e portatore di handicap[2].


[1] La previsione è chiarita anche dal Msg. INPS 24 giugno 2020, n. 2584

[2] Si richiamano i principi riguardo alla condizione di salute, particolarmente bisognosa di tutela, delle persone portatrici di handicap richiamati da Corte Cost. 23 settembre 2016, n. 213, secondo cui le disposizioni previste dalla L. 104/92 costituiscono una « espressione dello Stato sociale» e «uno strumento di politica socio-assistenziale basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale» nonché «di tutela della salute psico-fisica del disabile, che rappresenta un diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 Cost.) e rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.)»; Si vedano anche Corte Cost. 18 luglio 2013, n. 203. La tutela di questi diritti non conosce limiti nemmeno in relazione al possesso di un titolo di legittimazione alla permanenza nel territorio dello Stato che richiede, per il suo rilascio, come chiarito da Corte Cost. 15 marzo 2013, n. 40 e da Corte Cost. 16 dicembre 2011, n. 329.

Riccardo Fratini

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