Azione di Classe nel diritto del lavoro

L’ azione di classe nel diritto del lavoro è esperibile nel diritto americano.

Il 18 aprile scorso la Corte Suprema dello Stato di Washington emanava una sentenza per ribaltare la decisione della Corte d’Appello distrettuale che aveva negato ad un gruppo di infermiere dell’ospedale Our Lady of Lourdes la dignità di classe per l’esperimento dell’azione, ritenendo che il ricorso presentato da queste ultime per l’accertamento del loro diritto a fruire dei riposi o a recuperarli qualora non avessero potuto goderli non fosse inerente ad un diritto comune a tutte, ma dipendesse di caso in caso dalla durata del turno e dalla quantità dei riposi maturati e non fruiti.

La sentenza è di interesse nella misura in cui delinea i tratti di questo istituto, davvero poco conosciuto nel diritto italiano, che è la Class Action. L’ordinamento italiano infatti conosce una forma di azione di classe solo nel diritto dei consumatori, ma molto diversa da quella americana.

L’Azione di Classe nel diritto americano.

Nel diritto americano, l’azione di classe può essere condotta da uno o più soggetti che, membri di una determinata categoria di soggetti, chiedono che la soluzione di una questione comune di fatto o di diritto avvenga con effetti ultra partes per tutti i componenti presenti e futuri della categoria. Gli altri soggetti della medesima possono chiedere di non avvantaggiarsi dell’azione altrui (esperendone una propria) esercitando il cd. diritto di opt-out, oppure possono rimanere inerti, avvantaggiandosi dell’eventuale azione legale e dell’attività processuale che ne scaturisca ad opera altrui, che avviene sulla base del modello rappresentativo. Con l’azione di classe si possono anche esercitare pretese risarcitorie, ma lo strumento oltre alle funzioni di deterrenza realizza anche vantaggi di economia processuale e di riduzione della spesa pubblica.

Il Caso

Nel caso delle infermiere, esse avevano turni diversi e avevano maturato diritti al risarcimento per mancata fruizione dei riposi che si differenziavano per ciascun lavoratore. Il problema del mancato riconoscimento dei riposi e i conseguenti risarcimenti di cui chiedevano il riconoscimento, tuttavia, discendevano tutti dal fatto che l’ospedale utilizzasse il sistema informativo “Kronos” per il controllo del tempo di lavoro. Tale sistema toglieva automaticamente 30 minuti dal tempo di lavoro remunerabile di ciascun lavoratore per ogni turno che durasse più di cinque ore, presumendo che questo fosse stato utilizzato come tempo di pasto. Se il lavoratore non avesse fruito di tale tempo, poteva, all’uscita, specificare di non averlo fatto, con conseguente pagamento del tempo di lavoro. Tale possibilità però era limitata dal sistema all’ultimo riposo precedente all’uscita, mentre non era possibile tenere conto dei precedenti turni di riposo non fruiti per il recupero, né era possibile specificare di non averli fruiti per vederseli remunerati. Le infermiere che facevano turni superiori a 12 ore, quindi, riuscivano a recuperare un solo pasto al giorno, qualora non ne avessero fruito.

Tale sistema, secondo le infermiere, violava una norma dello Stato, che imponeva ai datori di lavoro di assicurare che i lavoratori potessero prendere opportune pause per i pasti o di registrare l’ammontare di quelle non fruite.

La decisione della Corte di Primo Grado e della Corte d’Appello

La Corte di Primo Grado e quella d’Appello avevano affermato che tale caso non costituisse un valido presupposto per un’azione di classe delle lavoratrici (che erano oltre 100), perché, avendo esse tutte diritti diversi scaturenti dal medesimo fatto, sarebbe stato difficile per la Corte gestire il complesso dei diritti asseritamente pretesi dall’intera classe, non essendoci prova dei riposi non fruiti dalle infermiere che non comparivano nel giudizio.

L’Analisi della Corte Suprema dello Stato.

Dall’analisi della Corte Suprema, che invece giungeva alla conclusione opposta, si possono evincere i principi fondanti dell’azione di classe americana.

La Corte infatti affermava, innanzi tutto, che l’azione di classe costituisce un’eccezione al principio secondo il quale il processo debba essere condotto in nome e per conto delle sole parti individuali costituite. Infatti la funzione primaria dell’azione di classe è quella di garantire una procedura alla parte attrice che rivendichi un diritto che, preso singolarmente, sarebbe di valore troppo esiguo per giustificare un’azione legale, ma nel complesso, preso insieme a quello di tutti gli altri membri della classe, costituisce una questione di rilevante peso economico. Cioè, in breve, questa azione costituisce la risposta a quegli operatori sociali che, invece di lucrare su un grande danno fatto ad un piccolo gruppo di persone o ad un singolo, si avvantaggiano del piccolo danno fatto ad una moltitudine (40 o più, nella sentenza)[1].

In secondo luogo, elencava i fattori da considerare rilevanti perché possa ritenersi insussistente l’interesse “predominante” della classe su quello individuale, che è necessario siano valutati prima di certificare una classe ed esperire l’azione:

(A) sussista l’interesse dei membri della classe a controllare individualmente lo sviluppo della causa in azioni individuali;

(B) la quantità e la natura delle singole pretese già avanzate dai membri della classe;

(C) l’auspicabilità della concentrazione delle pretese in un unico foro;

(D) le difficoltà che si potrebbero incontrare nell’esperire un’azione di classe;

 

Solo se alla stregua di tali criteri non si ritenga utile ricorrere all’azione di classe, essa può essere esclusa. Essa infatti ha il merito di risolvere una molteplicità di controversie nella stessa sede e di risparmiare ai membri della classe i costi e le difficoltà di procedere individualmente per diritti di modico valore e libera anche il convenuto dal rischio di successive identiche pretese da parte degli altri soggetti nella medesima situazione[2].

Nel caso di specie il fatto scatenante comune (il sistema di calcolo) era presente e le Corti di merito e Appello avevano argomentato solo con il fattore D) della difficoltà di gestire l’azione, che non veniva ritenuto sufficiente dalla corte per negare la certificazione della classe.

Il problema della prova del danno.

Per un lettore italiano, resta sicuramente incerto il problema della prova del danno, che sarebbe molto difficoltoso relativamente alle parti non attivamente costituite in giudizio che siano incluse nella classe. Gli americani risolvono questo problema affermando che, una volta stabilita la responsabilità del soggetto in un’azione di classe, non è necessario che ciascuno dei soggetti coinvolti nella classe provi il proprio danno su base individuale, ma sarà la Corte a stabilire uno standard equitativo per il corretto risarcimento delle parti non costituite[3].

 

 

Forse non saranno troppo rigorosi, ma l’azione di classe nel diritto del lavoro aiuterebbe ad eliminare il cd. contenzioso seriale e, magari, a consentire davvero l’accesso alla giustizia a molti lavoratori.

 

 

 

 

[1] Brown v. Brown, 6 Wn. App. 249, 253, 492 P.2d 581 (1971);

[2] Smith v. Behr Process Corp., 113 Wn. App. 306, 318, 54 P.3d 665 (2002);

[3] Pellino v. Brink’s Inc., 164 Wn. App. 668, 684, 267 P.3d 383 (2011); Moore v. Health Care Auth, 181 Wn..2d 299, 307-08, 332 P.3d 461 (2014);

Riccardo Fratini

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