Azione di Classe: Il Disegno di Legge che potrebbe tutelare meglio i diritti dei lavoratori

Fino ad oggi l’azione di classe risarcitoria era esperibile soltanto per gli illeciti che ledevano diritti omogenei dei consumatori (pratiche commerciali scorrette/ clausole vessatorie) o interessi collettivi e presentava le seguenti caratteristiche:

  • prevedeva un ambito applicativo limitato al settore consumeristico,
  • era costruita sul modello dell’opt-in (i membri della classe dovevano scegliere uno per uno di aderire all’azione collettiva);
  • prevedeva un primo vaglio giudiziale circa la “adeguatezza” dell’azione;
  • affermava la responsabilità dell’attore proponente l’azione di classe nei confronti degli aderenti all’azione medesima

azione di classe

Ma il senso dell’azione di classe era essenzialmente la tutela dell’accesso alla giustizia, che doveva tendere ad un modello inclusivo ed era scarsamente perseguito dall’attuale sistema.

Infatti, si sono moltiplicate le ipotesi in cui un determinato danno derivante da una medesima condotta può riverberarsi su una molteplicità di persone.

Agire in forma aggregata – con il meccanismo dell’adesione – comporta un sicuro abbattimento dei costi di accesso alla giustizia, in particolar modo non avendo gli aderenti costi di rappresentanza tecnica, e garantisce una più facile tutela anche per quei diritti che si concretino in pretese risarcitorie di modesta entità, cd. le small claim della tradizione giuridica anglosassone.

A tale proposito vale la pena osservare che il cumulo di richieste in cui l’azione di classe si sostanzia, nella prospettiva del convenuto, può concretizzarsi anche nella liquidazione di un risarcimento complessivamente consistente, che abbia, perciò, un effetto dannoso sull’impresa.

Inoltre, una partecipazione di massa all’azione potrebbe sottoporre l’impresa a una forte pressione già nella fase preliminare della medesima, tanto sotto il profilo psicologico (o per meglio dire d’immagine) quanto sotto quello economico, nel valutare i costi che si può trovare ad affrontare e le implicazioni che derivano dagli accantonamenti di bilancio per il rischio di soccombenza, potenzialmente inducendola ad addivenire a una conciliazione e a rivedere le condotte oggetto di causa.

Con il disegno di legge oggi in approvazione al Senato (DL 1335/2013), in primo luogo, si attua una scelta: optare per l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’azione di classe al di là dei confini del settore consumeristico, sino a ricomprendere, astrattamente, ogni possibile ambito dell’agire di una impresa o di un ente gestore di servizi pubblici (diritti dei lavoratori, diritti dei fornitori, diritti dei clienti, diritti degli agenti). Infatti la riforma inserisce la normativa sull’azione di classe all’interno del codice di procedura civile (artt. 840, da bis a vicies semel).

Si tratta di una opzione suscettibile di portare a conseguenze potenzialmente dirompenti sul piano economico, sociale ed imprenditoriale. L’estensione dell’azione di classe a tutti “i diritti individuali omogenei derivanti da una o più fonti dell’obbligazione indicati dall’articolo 1173 del codice civile” conduce alla logica conseguenza di dover ritenere esercitabili anche i diritti individuali omogenei esercitabili dai lavoratori nei confronti dell’impresa datrice.

I lavoratori infatti hanno una lunga storia di associazionismo a tutela dei propri diritti ed inoltre hanno, rispetto ai consumatori, l’enorme vantaggio di incontrarsi ogni giorno ed avere quindi la possibilità di informarsi l’un l’altro e decidere insieme di agire. L’abbattimento dei costi di accesso e il meccanismo di adesione renderebbero immediatamente efficacie un’azione portata avanti da un gruppo di lavoratori.

Passando alle previsioni sulle possibili azioni, attualmente in parte sommerse, ma che potrebbero “saltare fuori” dopo l’approvazione del disegno, si deve fare riferimento anzitutto alle cause di discriminazione, soprattutto dopo che, con il Jobs Act, il licenziamento discriminatorio resta la principale ipotesi di reintegrazione nel posto di lavoro. Già attualmente l’art. 15 e l’art. 16 stat. lav. prevedono una tutela contro i cd. Atti discriminatori (mancata assunzione, demansionamento, trasferimento, sanzioni disciplinari, trattamento economico di minor favore o altro pregiudizio) che siano motivati appunto da ragioni sindacali, politiche, religiose, razziali, di lingua di sesso, di handicap, di età o basata sulle convinzioni personali. Finora la giurisprudenza italiana si è mostrata piuttosto restrittiva nell’interpretazione di tale clausola, ma davanti ad un’azione di classe la situazione potrebbe cambiare. Ad esempio l’azione portata avanti da tutte le lavoratrici di una certa azienda, che sostengono all’unanimità di essere retribuite in misura inferiore per il solo fatto di essere di sesso femminile.

E questo potrebbe accadere anche laddove mancasse la legittimazione ad una qualsiasi azione individuale cioè per la mancanza di un qualsiasi soggetto individualmente leso.

Il progetto di legge limiterebbe l’ambito operativo di tale azione alla sola tutela inibitoria, ma estenderebbe la legittimazione a proporla anche in capo a tutti i singoli, con tutti gli intuibili rischi di usi impropri o abusi. Anche la Confindustria ha espresso la sua preoccupazione per “l’impostazione della Proposta di legge, che connoterebbe l’azione di classe italiana con caratteri punitivi nei confronti delle imprese e non come un fisiologico, e potenzialmente virtuoso, strumento di aggregazione processuale”.

Riccardo Fratini

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