Potere direttivo – Pillole di diritto del lavoro

Parliamo oggi del rapporto di soggezione del lavoratore del potere direttivo, il potere di controllo e il potere disciplinare.

Il potere direttivo del datore di lavoro consiste nella possibilità concreta di impartire ordini al lavoratore su quello che deve fare, quando lo deve fare e come lo deve fare. È un potere tipico della fattispecie del lavoro subordinato ed in esso si esprime quella “eterodirezione” della prestazione lavorativa che appunto distingue questa forma di lavoro dal lavoro autonomo.

Il principale obbligo a cui il lavoratore è vincolato dal contratto di lavoro è appunto quello di fornire la propria prestazione lavorativa al datore, ma non è l’unico. Il potere direttivo si esprime anche negli obblighi di “non fare” insiti negli obblighi che derivano al lavoratore dalla legge: l’obbligo di fedeltà e l’obbligo di non concorrenza (art. 2105 Codice Civile). Essi consistono essenzialmente nel dovere del lavoratore di non lavorare per sé o per altri in concorrenza con il datore o di rivelare a chiunque i suoi segreti aziendali. Il lavoratore non può compiere tali azioni nemmeno fuori dall’orario di lavoro, e quindi il potere del datore di dirigere le sue azioni invade in questo campo la sua sfera personale ben oltre il tempo necessario a rendere la prestazione.

Questa influenza del datore sulla vita del lavoratore appare ancora più penetrante se si pensa a tutti quegli obblighi ulteriori, cd. accessori o preparatori, che la giurisprudenza ha individuato. Ad esempio il lavoratore deve rispettare gli obblighi di protezione dell’azienda per cui lavora e quindi per esempio non può parlare male del datore di lavoro né dentro né fuori l’azienda. Deve rispettare, poi, gli obblighi preparatori, cioè deve prepararsi al lavoro in modo tale da poter lavorare con efficienza e, quindi, non può ubriacarsi la sera prima di lavorare, perché questo inficerà la sua prestazione sul lavoro. Non può compiere reati, che possono rompere il vincolo di fiducia con il datore e portare al suo licenziamento anche se non riguardano in alcun modo l’ambito lavorativo.

Addirittura, in qualche organizzazione produttiva, le cd. associazioni di tendenza, come partiti politici o associazioni religiose, il datore di lavoro ha il potere di controllare le opinioni personali del lavoratore, che può essere licenziato anche per il solo fatto di non condividere gli ideali del datore.

Inoltre, in modo ancora più esplicito, il potere direttivo si esplicita in quello che tecnicamente viene chiamato ius variandi, cioè diritto di modificare oggettivamente il contratto. Ad esempio in materia di mansioni, l’art. 2103 c.c., nuovo testo, dopo il Jobs’ Act, permette al datore di lavoro, oltre che trasferire la sede di lavoro del lavoratore, di adibirlo alle mansioni per le quali è stato assunto oppure a quelle “riconducibili allo stesso livello di inquadramento” di quelle precedentemente svolte. Il che vuol dire che il datore di lavoro non solo può modificare il luogo dove il lavoratore deve lavorare, ma può anche chiedergli di fare qualcosa di diverso, purché le nuove mansioni siano appartenenti allo stesso livello di contratto collettivo, il che di solito significa molte mansioni e molto diverse tra loro. Ad esempio uno che prima faceva il portiere d’albergo potrebbe ritrovarsi a fare il magazziniere da un giorno all’altro.

Un ultimo significativo esempio di materia in cui si manifesta il potere direttivo è l’orario di lavoro. Infatti il datore di lavoro ha il potere, nei limiti di legge, di indicare al lavoratore quando deve lavorare e quanto a lungo.

Per concludere facciamo un esempio di lavoratore subordinato e di lavoratore autonomo e andiamo a cercare gli elementi sopra descritti, così da distinguerli. Ovviamente nel caso della subordinazione ritroveremo i parametri del potere direttivo, mentre non li troveremo nell’altro caso.

Pensiamo a due medici: uno lavora dipendente di un ospedale, l’altro nel suo studio privato. Il medico subordinato vedrà i turni di lavoro stabiliti dal direttore sanitario della struttura, così come la lista dei pazienti a lui assegnati. Dovrà utilizzare il badge per segnalare l’orario di arrivo e di uscita dal lavoro e potrà essere, se il direttore sanitario lo ritiene necessario, spostato ad un altro reparto o anche ad un’altra struttura. Il medico che lavora nel suo studio invece può fissare gli appuntamenti con i suoi pazienti quando ne ha la possibilità, lavorerà in una struttura propria e in un locale a lui riconducibile, ma in compenso soffrirà il rischio dei relativi costi su di sé, mentre il lavoratore subordinato deve solo lavorare diligentemente e non è responsabile se il suo lavoro non procura guadagni all’impresa.

potere direttivo del datore di lavoro
Di Tomas Castelazo (Opera propria) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0) o GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html)], attraverso Wikimedia Commons

Riccardo Fratini

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