AZIONE DI CLASSE PER LO SCIOPERO: IL SINDACATO DEVE PAGARE I DANNI?

Azione di classe per lo sciopero. Sommario: 1. – La legittimità dello sciopero prima della L. 146/1990 e le sanzioni. 2. – La nuova disciplina la legge 83/2000. 3. – La tutela processuale: l’azione di classe. 4. – Gli “auspici” del diritto europeo. 5. – Conclusioni.

1- L’art. 40 della Costituzione Italiana afferma che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Ma tali leggi, che dovevano essere emanate dal legislatore del dopoguerra per contemperare il diritto di sciopero con gli altri diritti costituzionalmente rilevanti, si sono a lungo fatte attendere. Per oltre quaranta anni i giudici si sono trovati soli ad arginare l’ “esuberanza” dei movimenti dei lavoratori, avendo come unico riferimento i principi costituzionali e le norme penali.

Infatti da subito la Corte Costituzionale era intervenuta ad accertare la diretta applicabilità delle norme costituzionali a protezione di interessi primari della collettività come limiti all’esercizio del diritto di sciopero[1], in quanto si percepiva la necessità di “salvaguardare dal danno” il nucleo di interessi “preminenti”[2] rispetto all’autotutela di categoria.

Anche la giurisprudenza ordinaria si è adoperata secondo l’indirizzo della Corte Costituzionale, per salvaguardare gli interessi primari della vita, della salute, dell’incolumità delle persone e le altre riconosciute nella Carta. I limiti suddetti, tuttavia, scaturivano principalmente dalla interpretazione di norme penali, con conseguente estrema difficoltà di configurazione della condotta illecita. Tale ipotesi si verificava ad esempio nel caso di sciopero penalmente vietato dei marittimi durante la navigazione (art. 1105 cod. nav., che configura tale ipotesi come “ammutinamento”)[3], nell’ipotesi di abbandono collettivo o individuale di pubblici uffici, impieghi, servizi o lavoro prevista dagli artt. 330 e 333 c.p.[4], poi abrogati dalla L. 146/1990, per  lo sciopero dei vigili urbani[5] o del personale ospedaliero[6]. Altre ipotesi di sciopero penalmente vietato erano state configurate nell’ omissione di atto d’ufficio (art. 328 c.p.)[7], nello sciopero per motivi non contrattuali (art. 503 c.p.)[8], nello sciopero di esercenti di piccole industrie o commerci (art. 506 c.p.)[9] nel boicottaggio (art. 507 c.p.)[10] o nell’invasione o occupazione abusiva di azienda (art. 508 c.p.)[11].

Tale tutela penale repressiva e inibitoria era volta a porre dei limiti, pur molto ampi, al fine di tutelare la produttività delle imprese e l’incolumità dei terzi, soprattutto se utenti di un servizio essenziale. Tuttavia, in sede civile, soltanto la prima di queste due situazioni trovava corrispondente tutela risarcitoria. Infatti il sindacato ha sempre potuto essere convenuto in giudizio per il risarcimento del danno da sciopero illegittimo, specialmente per quelle ipotesi non riconducibili alla definizione di “sciopero”[12] o quando l’astensione dal lavoro comportasse un “danno alla produttività”[13].

Nessuna tutela risarcitoria era, invece, prevista per la situazione soggettiva degli utenti eventualmente lesi dal comportamento illecito. Tale situazione si era determinata per una duplice coincidenza di fatti: da un lato il legislatore non poneva alcuna norma in tal senso per non osteggiare i sindacati, mentre la giurisprudenza non si è mai pronunciata perché mai si era posta la questione in sede civile del risarcimento di tale danno. L’utente leso, difatti, subisce un danno di entità eccessivamente lieve per esperire l’azione civile ordinaria o la costituzione di parte civile nel processo penale, in quanto la lesione ristorata non basterebbe a compensare l’incombenza di sostenere anticipatamente le spese legali per tali procedure giudiziali. Di conseguenza l’unica pronuncia su tale questione si ritrova incidentalmente nella giurisprudenza amministrativa, che peraltro negava l’esperibilità dell’azione di danno sia nei confronti dei lavoratori che del datore di lavoro[14]

 

2 – Tale assetto di sanzioni è parzialmente mutato con l’avvento della L. 146/1990, che regolamentava i limiti allo sciopero nell’ambito dei soli servizi pubblici essenziali, senza esclusione dei limiti penali previgenti (abrogava solo gli artt. 330 e 333 c.p.), con un sistema di sanzioni amministrative, ma permaneva l’analoga finalità dissuasiva e repressiva degli illeciti, senza nulla dire della tutela risarcitoria. Le sanzioni previste dalla legge riguardano tutti i destinatari dei precetti: lavoratori, organizzazioni, autonomi, professionisti, piccoli imprenditori, organismi rappresentativi, dirigenti di amministrazioni e legali rappresentanti delle imprese erogatrici dei servizi essenziali.

I lavoratori subordinati sono assoggettati a sanzioni disciplinari (art. 4, c. 1), i sindacati sono soggetti a sanzioni civili o amministrative pecuniarie (art. 4, c. 2 e 4 bis), mentre i dirigenti, i legali rappresentanti (art. 4, c. 4), i professionisti e gli imprenditori, con le relative associazioni rappresentative, possono ricevere sanzioni amministrative pecuniarie (art. 4, c. 4). Tali sanzioni sono previste direttamente dalla fonte legale, ma non si esclude la possibilità che esse siano comminate da fonti secondarie, come l’ordinanza di precettazione[15]. L’importo così determinato può essere raddoppiato in caso di violazione delle delibere della Commissione di garanzia di invito alle organizzazioni proclamanti al differimento dell’astensione oppure di invito ai datori di lavoro al rispetto dei precetti (art. 4 c. 4 ter; art. 13, lett. c, d, e, h). Questa statuizione è perfettamente in linea con la finalità repressiva delle sanzioni, mentre la tutela degli interessi degli utenti è perseguita soltanto mediande devoluzione dei proventi delle sanzioni all’INPS, con dubbi riguardo all’effettivo vantaggio che ne possa loro derivare.

Le modifiche apportate con L. 83/2000 ha aumentato l’incidenza del potere discrezionale della Commissione di garanzia nell’irrogazione delle sanzioni, di seguito applicate dai datori di lavoro e devolute all’INPS.

I lavoratori subordinati sono sanzionati, come in precedenza, se partecipano ad uno sciopero qualificabile come illegittimo per la violazione delle regole prescritte, a prescindere da una preventiva indicazione di illegittimità dello sciopero da parte della Commissione di garanzia. Sono previste in questo caso sanzioni disciplinari, non conseguenti alla valutazione del comportamento dei singoli con soluzione applicata anche al caso di inconfigurabilità di uno sciopero, ad esempio sciopero delle mansioni[16].

I sindacati, invece, sono sanzionati per le ipotesi di proclamazione o adesione ad uno sciopero illegittimo, nonché per l’ipotesi di ingiusta o intempestiva revoca dello sciopero già proclamato e comunicato agli utenti[17]. In questo caso le sanzioni consistono nella perdita dei permessi sindacali retribuiti e dei contributi sindacali “comunque trattenuti”[18] sulla retribuzione.

Anche i datori di lavoro che erogano il servizio pubblico essenziale sono puniti nelle persone dei dirigenti responsabili e dei legali rappresentanti con sanzione amministrativa per il mancato rispetto delle prescrizioni sancite dalla legge.

Per i lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, a differenza di quanto previsto per i lavoratori subordinati, la sanzione è la stessa sia per i singoli partecipanti alla astensione illegittima, sia per le rispettive associazioni o organismi rappresentativi: si tratta di una sanzione amministrativa pecuniaria al cui pagamento sono obbligati in solido i singoli e le organizzazioni (art. 4, c. 4).

Tutte le sanzioni sono deliberate dalla Commisione di garanzia e sono impugnabili dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Roma ex art. 25 c.p.c..

Le sanzioni menzionate, tuttavia, costituiscono solo tutele repressive idonee ad inibire il comportamento lesivo, ma non a ristorare le situazione soggettiva degli utenti già lesi dal comportamento illecito del sindacato che proclami lo sciopero illegittimo.

I problemi che si pongono al fine di approntare una tutela di questo tipo, che peraltro è già teoricamente ricavabile dall’interpretazione estensiva dell’art. 2043, sono molteplici. Prima di tutto non è concretamente tutelabile la posizione dell’utente leso a causa della lievità del danno, che corrisponderebbe al lucro cessante o al danno emergente conseguente al cattivo funzionamento del servizio. Dunque tale danno, oltre la diabolica probatio, sarebbe difficilmente esigibile in giudizio a causa dei costi di instaurazione dello stesso, motivo per cui volendo predisporre un sistema risarcitorio per gli utenti lesi e volendo anche dargli effettività, il legislatore dovrebbe approntare una tutela processuale idonea alla tutela di questa particolare situazione sostanziale.

3, – Invero un’azione simile, che sarebbe idonea a tale tutela è già presente nell’ordinamento italiano vigente.

L’art. 140 bis del d. lgs 206/2005, codice del consumo, come modificato dal d. lgs  23 ottobre 2007, n. 221, ha ripreso dall’ordinamento anglosassone la cd. “class action” – azione di classe – esercitabile dai “consumatori o utenti”[19] che vantino diritti “omologhi” nei confronti di un “professionista”, nelle sole ipotesi tassativamente indicate dalla norma suddetta. Tali ipotesi sono rappresentate da: “a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione omogenea, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti omogenei spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.” (art. 140 bis, cm. 2). L’azione di classe può essere esperita, quindi, in presenza dei seguenti requisiti: che i consumatori o utenti vantino diritti soggettivi[20] omologhi[21], cioè caratterizzati da identità di titolo e oggetto, pur variabili nel quantum, e che vi sia un danno in conseguenza di un atto illecito nelle materie indicate. Il vantaggio consiste, per i consumatori danneggiati, nella duplice possibilità di aderire all’unica azione del proponente, anche senza l’ausilio del difensore, con risparmio di spese e compensi, e nella decisione in un’unica causa sulla effettività dei diritti vantati dagli aderenti. Di conseguenza solo tale strumento processuale può, nel vigente sistema caratterizzato da lentezza del giudizio e onerosità per l’attore, dare accesso alla giurisdizione, anche per le cause di scarso valore, agli attori che, dovendo proporre l’azione ordinaria, potrebbero ritenerla economicamente sconveniente. Tipico è il caso della moltitudine dei consumatori di una catena di grandi magazzini lesi da una pratica commerciale scorretta, ma il cui danno è di scarso ammontare e non risulterebbe concretamente esigibile in un giudizio individuale.

Tuttavia il legislatore “distratto” ha approntato tale tutela soltanto per le situazioni appena enunciate, non rendendosi conto di una moltitudine di altre situazioni che esulano dai rapporti tra professionista e consumatore in cui l’atto illecito di un soggetto giuridico, anche terzo e slegato contrattualmente, provoca danni che generano diritti omologhi[22].

4. – I precisati limiti alla tutela, presenti non solo in Italia, ma in molti paesi europei, hanno destato subito le preoccupazioni del legislatore comunitario. Invero il 27 novembre 2008 la Commissione presentava il cd. “Libro Verde sui mezzi di ricorso collettivi dei consumatori”[23] auspicando, dopo la consultazione del parlamento europeo, di “valutare la situazione attuale in materia di mezzi di ricorso, in particolare nei casi in cui numerosi consumatori possono essere vittime della stessa infrazione alla legge e di proporre soluzioni possibili per colmare qualsiasi lacuna che ostacoli un indennizzo adeguato per questi casi”[24]. In seguito a tale proposizione la Commissione permanente XIV sulle politiche dell’Unione Europea della Camera dei Deputati, con parere del 27 luglio 2009, esprimeva parere favorevole all’adozione delle proposte contenute nel “Libro Verde”, aggiungendo “il libro verde fa riferimento genericamente alla nozione di <<consumatore>> quale persona fisica, escludendo di fatto sia le imprese sia coloro che acquistano beni e servizi al fine di intraprendere già una attività imprenditoriale”[25]. Tali interventi manifestavano un intento di allargamento delle situazioni giuridiche tutelate. In ultimo anche la Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012 «Verso un approccio europeo coerente in materia di ricorsi collettivi» (2011/2089(INI)) “accoglie con favore gli sforzi degli Stati membri intesi a consolidare i diritti delle vittime di comportamenti illeciti introducendo o programmando di introdurre una normativa volta ad agevolare i ricorsi, evitando nel contempo una cultura di abuso del processo, ma riconosce altresì che i meccanismi nazionali di ricorso collettivo presentano differenze significative, soprattutto per quanto concerne il campo di applicazione e le caratteristiche procedurali, differenze che potrebbero pregiudicare il godimento dei diritti da parte dei cittadini;[26]”. Chiaro è dunque l’intento di estendere progressivamente la possibilità di esperire l’azione di classe a tutte quelle categorie che presentino le caratteristiche già citate dei diritti omologhi, del danno e dell’illecito che lo provoca.

5. – L’estensione, in una prospettiva de jure condendo, di tale tutela processuale potrebbe cambiare anche il panorama del diritto del lavoro. Invero la risarcibilità dei danni subiti dagli utenti, danneggiati dallo sciopero illegittimo dei sindacati in violazione delle norme sui servizi pubblici essenziali, risulterebbe concretamente azionabile anche per i danni di lieve entità conseguenti al ritardo o al disservizio. Questo intervento sarebbe coerente con la Risoluzione del Parlamento europeo che “accoglie con favore la summenzionata consultazione orizzontale e sottolinea che le vittime di pratiche illecite – siano essi cittadini o imprese – devono essere in grado di chiedere un risarcimento per le perdite o i danni individuali subiti, in particolare nel caso di danni diffusi”[27].

Le perplessità  potrebbero sorgere in materia di legittimazione passiva del sindacato che, per la libertà di sciopero, non ha il potere di costringere i lavoratori a scioperare e quindi, di fatto, non è l’unico responsabile del danno, che è mediato dalla libertà dei lavoratori di aderire o meno allo sciopero illegittimo. Ma l’imputabilità dell’illecito va attribuita comunque al sindacato, essendo esso ritenuto responsabile dello sciopero dalla L. 12 giugno 1990, n. 146 che all’art. 6 statuisce che la Commissione di Garanzia può valutare, anche su sollecitazione delle “associazioni degli utenti rappresentative ai sensi della legge 30 luglio 1998, n. 281”, unicamente il “comportamento delle organizzazioni sindacali che proclamano lo sciopero o vi aderiscono, o delle amministrazioni e delle imprese interessate, ovvero delle associazioni o organismi di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, nei casi di astensione collettiva di cui agli articoli 2 e 2-bis” (art. 6, cm. 4-quater), e non anche quello dei lavoratori, che può essere sanzionato solo dal datore in sede disciplinare (art. 4, cm. 1).

Inoltre nel caso della azione di classe l’onere della prova gravante sul danneggiato riguarda la sussistenza di un illecito e la produzione di un danno sulla totalità della classe, mentre non si può distinguere tra danno arrecato alla generalità degli utenti e quello al singolo utente[28] né è necessaria la prova del nesso causale tra l’illecito e il danno[29].

Invero non si può dubitare dell’an del danno all’utenza derivante dall’impossibilità di accedere al servizio, dovendosi casomai discutere il quantum, che tuttavia non deve essere necessariamente equivalente per ogni diritto vantato e per la quale è comunque ammessa la valutazione equitativa data l’estrema difficoltà della prova[30]. Tale valutazione equitativa dovrebbe contemperare l’interesse risarcitorio degli utenti con la sostenibilità del pregiudizio subito dal sindacato in seguito alla condanna, in quanto tale pregiudizio non potrebbe essere di entità tale da compromettere definitivamente le attività sindacali, con conseguente violazione implicita del principio di libertà sindacale (art. 39 c. 1 Cost.).

In ultimo non sembra discutibile la natura omogenea dei diritti derivanti da tale illecito, in quanto derivanti dallo stesso titolo e aventi stesso oggetto. Il solo fatto di appartenere alla categoria limitata degli utenti del servizio pubblico essenziale dimostra tale omogeneità, in quanto il titolo è dato dal rapporto con il pubblico servizio e l’oggetto è costituito dalla particolare prestazione che il servizio sarebbe stato tenuto ad erogare nel periodo di illegittima interruzione.

In definitiva sarebbe auspicabile che il legislatore consenta agli utenti, lesi nei propri diritti costituzionali ed individuali dal predetto comportamento illecito, di vedersi riconosciuto effettivamente un equo risarcimento, pur di lieve entità, attraverso questo strumento processuale, anche in linea con quanto auspicato dagli organi comunitari.

[1] Corte Cost. 2 luglio 1958, n. 46, MGL, 1958. 123: Corte Cost. 28 dicembre 1962, n. 123, MGL, 1962, 416; Corte Cost. 28 dicembre 1962, n. 124, MGL, 1962, 416; Corte Cost. 17 marzo 1969, n. 31, MGL, 1969, 1; Corte Cost. 3 agosto 1976, n. 222, MGL, 1976, 297;

[2] Corte Cost. 28 dicembre 1962, n. 124, MGL, 1962, 416; cfr. Corte Cost. 3 agosto 1976, n. 222, MGL, 1976, 297; Corte Cost. 12 gennaio 1977, n. 4, MGL, 1977, 301; Corte Cost. 8 luglio 1992, n. 317, FI, 1992, I, 2904;

[3] Corte Cost. 28 dicembre 1962, n. 124, MGL, 1962, 416;

[4] Corte Cost. 2 luglio 1958, n. 46, MGL, 1958, 123;

[5] Cass. Pen. 26 marzo 1971, n. 1961, MGL, 1972, 322; Cass. Pen. 15 giugno 1977, n. 2647, MGL. 1978, 652;

[6] Cass. Pen. 19 aprile 1972, n. 573, MGL, 1973, suppl., 141;

[7] Cass. Pen. 26 marzo 1971, n. 1961, MGL, 1972, 322;

[8] Corte Cost. 27 dicembre 1974, n. 290, MGL, 1975, 2, 151, nota di MAZZONI, G.;

[9] Corte Cost 17 luglio 1975, 22, MGL, 1975, 281;

[10] Corte Cos. 17 aprile 1969, n. 84, MGL, 1969, 177;

[11] Corte Cost. 17 luglio 1975, n. 220, MGL, 1975, 6, 670, nota di SANTORO, A.;

[12] Pret. di Castelnuovo Garfagnana 18 novembre 1972, MGL, 1, 1973, 36, nota di MAZZONI, G.; Pret. di Ancona 8 aprile 1975, MGL, 1975, 3-4, 325;

[13] Corte cost. 28 dicembre 1962 n. 124, MGL, 1962, 416; Corte cost. 8 luglio 1992 n. 317, FI, 1992, I, 2904; Cass. 17 luglio 1979 n. 4212, FI, 1980, I, 25; Cass. 30 gennaio 1980 n. 711, FI, 1980, I, 25; Cass. 26 giugno 1980 n. 4030, FI, 1980, I, 2756; Cass. 24 gennaio 1981 n. 568, FI, 1981, I, 1998; Cass. 1° settembre 1982 n. 4757, GC, 1983, I, 197; Cass. 4 febbraio 1983 n. 945, GC, 1983, I, 1759; Cass. 5 novembre 1985 n. 5378, GI, 1986, I, 1, 1136; Cass. 7 dicembre 1985 n. 6177, FI Rep., 1985, voce Sciopero, 21; Cass. 24 aprile 1986 n. 2899, NGL, 1986, 432; Cass. 4 aprile 1987 n. 3303, RGL, 1987, II, 242; Cass. 17 dicembre 2004 n. 23552, FI, 2005, I, 2774.

[14] Cons. di Stato 11 dicembre 1973, n. 1219, MGL 1974, 3-4, 296, nota di FRANCESCHINI, P.;

[15] Cass. 15 febbraio 1999, n. 1242, MGL, 19999, 470; Cass. 10 maggio 1999, n. 4634, MGL, 1999, 834;

[16] Cass. 12 gennaio 2011, n. 548, MGL, 2011, 874; Cass 3 maggio 2011, n. 9714, MGL, 2011, 874; Cass. 14 giugno 2011, n. 12978, MGL, 2011, 874;

[17] VALLEBONA, A., Istituzioni di diritto del lavoro, I, Diritto sindacale, CEDAM, Padova, 2012, pag. 311;

[18] Comm. Garanzia, delibera n. 271 del 1997, RIDL, 1997, II, 657;

[19] Queste le parole esatte dell’ art. 3 d. lgs 206/2005 con cui si indicano rispettivamente: consumatore o utente: la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta; professionista: la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario;

[20] Cass., Sez. Unite, 28 marzo 2006,  n. 7036 – che ha definitivamente affermato il carattere privatistico dei diritti dedotti in tale azione, a nulla valendo l’obiezione che se fossero diritti soggettivi senza rilevanza pubblica non potrebbero essere tutelati su iniziativa delle associazioni dei consumatori;

[21] La norma che prima usava la locuzione “identici” è stata così modificata dall’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, che voleva scongiurare le perplessità giurisprudenziali sull’ammissibilità dell’azione di classe per diritti identici sia nel titolo che nell’oggetto, ma non nel quantum; in questo senso C. app. Roma, ord. 27 gennaio 2012, in Foro it.,2012, 6, I, 1907; Trib. Roma, 2 maggio 2013, in Redazione Giuffrè 2013; contra Trib. Firenze, ord 15 luglio 2011, in Foro it., 2012, 6, I, 1910; Trib. Napoli, ord. 9 dicembre 2011, in Foro it., 2012, 6, I, 1909; per la nuova disciplina posteriore alla riforma cfr. Corte App. Milano, sez. II, 3 marzo 2014, in Resp. Civile e Previdenza, 2014, 4, 1281: “non è possibile pretendere che la posizione giuridica di un aderente sia del tutto sovrapponibile a quella di un altro”;

[22]La giurisprudenza in materia si è adoperata per l’estensione progressiva delle situazioni tutelabili dichiarando ammissibile: la restituzione dei canoni pagati per l’erogazione di un servizio sospeso per ragioni di tutela della salute pubblica, Trib. Roma, sez. II, 2 maggio 2013, in Resp. Civile e Previdenza 2014, 3, 965, nota di Porcari; Trib. Roma, 4 marzo 2013, in Giurisprudenza di Merito 2013, 11, 2326, nota di Giussani; l’azione dovuta a pubblicità decettiva fatta da impresa che distribuiva test di gravidanza, Trib. Milano, sent. 13 marzo 2012, in Foro it.,2012, 6, I, 1909; l’azione proposta da tutti i clienti di una banca che abbia applicato commissioni per mancanza fondi, in Foro it.,2012, 6, I, 1909.  Tuttavia, al contrario, sono state ritenute inammissibili: l’azione nei confronti di un impresa che produce e distribuisce sigarette per i danni cagionati ai fumatori, C. app. Roma, ord. 27 gennaio 2012, in Foro it.,2012, 6, I, 1907; la ripetizione della tariffa di igiene ambientale per mancanza di diritti soggettivi contrattuali, C. App. Firenze, ord. 27 dicembre 2011, in Foro it.,2012, 6, I, 1908; l’azione contro l’azienda di trasporto per il risarcimento dovuto a continui ritardi e scarsa qualità del servizio, Trib. Torino, ord. 31 ottobre 2011, in Foro it.,2012, 6, I, 1910; l’azione contro la ditta incaricata dal comune dello spargimento del materiale antighiaccio se questo non ha cagionato danno alla salute o ad altri aspetti apprezzabili della qualità della vita degli utenti, Trib. Firenze, ord. 15 luglio 2011, in Foro it.,2012, 6, I, 1910;

[23] 27.11.2008, COM(2008) 794 definitivo – Commissione delle Comunità Europee, in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0794:FIN:IT:PDF;

[24] 27.11.2008, COM(2008) 794, cit., pag. 3 – si ricorda che nell’originale l’inglese “customers” traduce tanto consumatori quanto utenti;

[25] Parere XIV Commissione Permanente sulle Politiche dell’Unione Europea del 27 luglio 2009, in http://documenti.camera.it/_dati/leg16/lavori/bollet/200907/0727/pdf/14.pdf

[26] Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012 «Verso un approccio europeo coerente in materia di ricorsi collettivi» (2011/2089(INI)), in http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2012-0021+0+DOC+XML+V0//IT;

[27] Risoluzione del Parlamento europeo del 2 febbraio 2012 «Verso un approccio europeo coerente in materia di ricorsi collettivi», cit.;

[28] Cass. 23 maggio 2013, n. 12551;

[29] Cass. 17 aprile 2012, n. 6008; Cass. 25 luglio 2008, n. 20484; Cass. 28 maggio 2014, n. 11904 – che affermano la presumibilità del nesso causale in ragione del principio di maggiore vicinanza della prova;

[30] Cass. 10 dicembre 2009, n. 25820; Cass. 6 maggio 2010, n. 10957; Cass. 11 maggio 2010, n. 11368; Cass. 7 giugno 2011, n. 12408; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1361;

Riccardo Fratini

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