Violenza di genere sui luoghi di lavoro

Il femminicidio e la violenza di genere nei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta della XVII legislatura e le tutele sul piano del rapporto di lavoro

Con la legge 27 giugno 2013, n. 77, l’Italia ha proceduto alla ratifica ed esecuzione (senza però introdurre disposizioni “sostanziali” di attuazione) della Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – meglio nota come Convenzione di Istanbul – adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011.

Tra gli obiettivi:

  • di adottare soluzioni idonee a prevenire e perseguire ogni manifestazione di violenza di genere;
  • di eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne; 
  • di adottare misure di protezione e assistenza in favore delle donne vittime di violenza; 
  • di sostenere le organizzazioni – pubbliche e private –  e le autorità competenti in ordine all’applicazione delle normative di tutela;
  • di promuovere la cooperazione internazionale al fine di eradicare le variegate forme di violenza contro le donne.

Il  legislatore è intervenuto in via d’urgenza con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93(convertito dalla legge n. 119 del 2013), cd. decreto anti-femminicidio introducendo nell’ordinamento, nei settori del diritto penale sostanziale e processuale una serie di misure sia di carattere preventivo che repressivo, volte a combattere la violenza contro le donne in tutte le sue forme.

  • attribuisce, introducendo un’aggravante comune (art. 61, n. 11-quinquies) per i delitti contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché per i maltrattamenti in famiglia;
  • interviene sul reato di atti persecutori (cd. stalking), modificandone il regime di procedibilità e ricomprendendo tale delitto tra quelli per i quali è possibile disporre intercettazioni;
  • prevede la misura di prevenzione dell’ammonimento del questore anche per condotte di violenza domestica, sulla falsariga di quanto già previsto per il reato di stalking;
  • introduce puntuali obblighi di comunicazione da parte dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria alla persona offesa dai reati di stalking e maltrattamenti in ambito familiare nonché modalità protette di assunzione della prova e della testimonianza di minori e di adulti particolarmente vulnerabili;
  • assicura assoluta priorità nella formazione dei ruoli d’udienza ai procedimenti in materia di reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e stalking;
  • estende alle vittime dei reati di atti persecutori, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili l’ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito;
  • riconosce agli stranieri vittime di violenza domestica la possibilità di ottenere uno specifico permesso di soggiorno;

L’indennizzo delle vittime di crimini violenti

Con la legge 7 luglio 2016, n. 122 (legge europea 2015-2016), peraltro modificata dalla legge europea 2017 (legge n. 167 del 2017), il legislatore ha riconosciuto il diritto all’indennizzo «alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’articolo 603-bis del codice penale [caporalato], ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 [percosse] e 582 [lesioni personali], salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 del codice penale».

Il decreto del Ministro dell’interno 31 agosto 2017 ha determinato gli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti, tra cui l’omicidio commesso dal coniuge o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa nonché la violenza sessuale (salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità), come segue:

a) per il reato di omicidio, nell’importo  fisso  di  euro  7.200, nonché, in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche  separato o divorziato, o da persona che  è  o  è  stata  legata  da  relazione affettiva alla persona  offesa, nell’importo fisso di euro 8.200 esclusivamente in favore dei figli della vittima;

b) per il reato di violenza sessuale di cui  all’art.  609-bis  del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante della minore gravità, nell’importo fisso di euro 4.800;

c) per i reati diversi da quelli di cui alle lettere a) e b),  fino a un massimo di euro 3.000 a titolo di rifusione delle spese  mediche e assistenziali.

La legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) è intervenuta sui termini per la presentazione delle domande di indennizzo, stabilendo che la domanda di concessione dell’indennizzo dovesse essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, alle condizioni e secondo le modalità di accesso all’indennizzo previste dagli articoli 11, 12, 13, comma 1, e 14 della legge 7 luglio 2016, n. 122, come modificati, proprio dalla legge europea 2017.

I termini per la concessione dell’indennizzo da corrispondere in conseguenza di lesione personale gravissima ai sensi dell’articolo 583, secondo comma, del codice penale, sono riaperti e prorogati, a pena di decadenza, fino al 30 settembre 2019.

Gli importi dell’indennizzo sono liquidati nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente.

La legge 11 gennaio 2018, n. 4 – volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico – ha riconosciuto – recependo le indicazioni del documento conclusivo dell’inchiesta (vedi infra) – tutele processuali ed economiche ai figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti della vittima di un omicidio commesso da: il coniuge, anche legalmente separato o divorziato; la parte dell’unione civile, anche se l’unione è cessata; una persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza con la vittima.

Le dimensioni del fenomeno della violenza di genere e del femminicidio

Sulla base dei dati ISTAT, risulta che nel corso della propria vita poco meno di 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni (6 milioni 788 mila), quasi una su tre (31,5 per cento), riferiscono di aver subìto una qualche forma di violenza fisica (20,2 per cento) o sessuale (21 per cento), dalle forme meno gravi come lo strattonamento o la molestia a quelle più gravi come il tentativo di strangolamento o lo stupro (5,4 per cento). Gli autori delle violenze più gravi (violenza fisica o sessuale) sono prevalentemente i partner attuali o gli ex partner (62,7 per cento). Gli sconosciuti sono invece nella maggior parte dei casi autori di molestie sessuali (76,8per cento). Due milioni e 800 mila donne sono state vittime delle loro violenze.

La violenza di genere contro le donne è un fenomeno strutturale, fortemente radicato, che si combina con la diffusione di stereotipi di genere.

Importanti dati sono stati acquisiti con riguardo alla questione della violenza assistita. Secondo le statistiche i figli spesso assistono alla violenza del padre nei confronti della madre, anzi è in crescita questo fenomeno e riguarda più del 60 per cento dei figli di donne che hanno subito violenza da partner. Molte donne non sanno che i figli maschi che assistono alla violenza hanno una probabilità maggiore di essere autori di violenza nei confronti delle proprie compagne e le figlie di esserne vittime.

La trasmissione intergenerazionale del fenomeno è ben testimoniata dalla relazione esplicita tra vittimizzazione vissuta e/o assistita da piccoli e comportamento violento: il partner è più spesso violento con le proprie compagne se ha subìto violenza fisica dai genitori, in particolare dalla madre (la violenza da partner attuale aumenta dal 5,2 per cento al 35,9 per cento) o se ha assistito alla violenza del padre sulla propria madre (dal 5,2 per cento al 22 per cento).

Molestie e ricatti sessuali in ambito lavorativo

Un altro aspetto della violenza di genere è costituito dalle molestie e dai ricatti sessuali in ambito lavorativo. Sulla base di una rilevazione svolta dall’ISTAT nel 2016, si stima che siano un milione 403 mila le donne che hanno subito, nel corso della loro vita lavorativa, molestie o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Esse rappresentano circa il 9 per cento (l’8,9 per cento) delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. In particolare, i ricatti sessuali per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera hanno interessato, nel corso della loro vita, 1 milione e 100 mila di donne (1.173 mila pari al 7,5 per cento delle donne con le caratteristiche illustrate sopra). Le donne vivono questo tipo di violenza ancora più in solitudine. Solo il 20 per cento ne parla con qualcuno, di solito colleghi di ufficio. Solo lo 0,7 per cento denuncia.  L’analisi condotta sulle indagini passate evidenziava che i ricatti sessuali sul lavoro sono più diffusi tra le disoccupate che le occupate, tra le indipendenti che le dipendenti in particolare le libere professioniste, tra le impiegate/dirigenti che le operaie. 

Non esistono tuttora puntuali fattispecie di reato con riguardo alle molestie sessuali, ove perpetrate in luoghi di lavoro, alla violenza assistita da minori o all’omicidio di identità ovvero alle lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del volto, spesso consumate mediante utilizzo di sostanze corrosive; al femminicidio; alla violazione della misura dell’allontanamento disposto in via di urgenza (in relazione alla nuova fattispecie dovrebbe essere consentito l’arresto anche fuori dai casi di flagranza, parallelamente a quanto previsto per la fattispecie di evasione).

La lotta alla violenza di genere sul piano del rapporto di lavoro

La Legge estendeva la tutela antidiscriminatoria anche alle molestie di genere e alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro, oggi riconosciute espressamente come una forma di discriminazione di genere. 
Non viene, in questo caso, tutelata una parità violata, ma la libertà e dignità della persona offesa.

Sono considerate discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

Le moleste sessuali sono quindi considerate come discriminazioni, ovvero “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.

Tra i comportamenti molesti a sfondo sessuale nel luogo di lavoro, sono da considerare illeciti gli apprezzamenti allusivi, le battute a sfondo sessuale, gli inviti a cena tendenziosi, le telefonate continue con costanti ricadute sul piano sessuale, l’approccio tramite un bacio o proposte di approccio.
Le molestie sessuali ledono la personalità, di cui la dignità personale è un attributo.

Il datore sapeva o doveva ragionevolmente sapere delle molestie e non è intervenuto per far cessare tali condotte: per questo non può esimersi da responsabilità, da cui deriva il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per il lavoratore, data la natura costituzionale dei beni lesi.

Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di molestie o di molestie sessuali sono nulli, se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. 
A tal proposito, la legge riconosce altresì quali discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad un’azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento tra uomini e donne.

Inoltre la lavoratrice che denunci tali comportamenti non può essere licenziata, fino all’eventuale accertamento della diffamazione compiuta nei confronti del suo datore di lavoro

Riccardo Fratini

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