Mutatio libelli: azione di restituzione, indebito oggettivo, risarcimento del danno e ingiustificato arricchimento.

Mutatio Libelli e Emendatio Libelli nell’evoluzione giurisprudenziale. La cd. mutatio libelli consiste in una modifica della domanda proposta in giudizio con l’atto introduttivo, che risulti nuova in quanto mutata in uno degli elementi costitutivi dell’azione (petitum, causa petendi, personae). Nonostante tutti e tre gli elementi possano teoricamente essere oggetto di mutazione nel corso del giudizio, l’elemento più idoneo a dare problemi interpretativi risulta essere la cd. causa petendi[1], che consiste nel diritto fatto valere in giudizio e nel titolo che da legittimità alla pretesa.

mutatio libelli

Pertanto, in breve, l’attore non potrà chiedere, per tutta la durata del giudizio, in ogni stato e grado, altro che non sia quanto aveva chiesto nelle conclusioni dell’atto introduttivo, con aggiunta delle modifiche di elementi accidentali, quali interessi, eventi connessi allo scorrere del tempo, quantità dovute (emendatio libelli) e delle domande ed eccezioni che siano conseguenti alle difese del convenuto (art. 183, c. 5, c.p.c.).

I problemi interpretativi che si sono posti in relazione a tali diciture, vertono principalmente sui limiti della possibilità delle parti di modificare la richiesta “in corsa”, per adattarla alle nuove esigenze che si siano poste nel corso del processo (ad esempio: all’esito dell’istruttoria).

In linea di massima, è opportuno tenere a mente i principi cardine che hanno regolato la materia della mutatio negli anni passati. Non costituisce mutatio libelli:

  • l’attribuzione di una diversa qualificazione giuridica al fatto[2];
  • la variazione del fatto costitutivo in caso di invocazione di un diritto autodererminato/assoluto (es. proprietà[3]);
  • la modifica dei cd. fatti secondari (tempo, luogo, modalità svolgimento);
  • la proposizione di domande riconvenzionali, esclusa la reconventio reconventionis, fino all’udienza ex art. 183 c.p.c.;
  • la domanda legittimata dallo ius superveniens[4];

Costituisce invece mutatio libelli:

  • la variazione del fatto costitutivo nei diritto cd. eterodeterminati[5];
  • il passaggio da un ad un altro motivo di annullamento[6];
  • il passaggio da un motivo ad un altro di nullità[7];
  • la variazione da azione di rescissione a azione di annullamento.

La giurisprudenza più recente, in ogni caso, ha optato per una definizione meno rigida di emendatio libelli, ritenendo che si ha mutatio libelli quando la parte immuti l’oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio”[8].

L’azione di indebito oggettivo. È l’azione diretta alla restituzione di quanto adempiuto da un soggetto ad un altro quando questo adempimento non era dovuto. Il cd. indebito oggettivo (art. 2033 c.c.) si configura quando qualcuno esegua un pagamento di un debito che non esiste né per lui né per altri. Si ritiene, però, che possa rientrare nell’ipotesi dell’art. 2033 anche il caso di chi paghi il proprio debito a chi non ha diritto al pagamento. In primo luogo osserviamo che chi ha ricevuto il pagamento sarà tenuto a restituire quanto ha avuto. Chi ha pagato ha diritto alla restituzione di quanto corrisposto, ma se chi ha ricevuto il pagamento era in mala fede dovrà anche corrispondere i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento, mentre se era in buona fede gli interessi e i frutti saranno dovuti solo dal giorno della domanda giudiziale.

La giurisprudenza ha stabilito che “qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi – tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente – l’azione accordata della legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo. E’, quindi, la pronuncia dichiarativa o costitutiva del giudice, avente portata estintiva del contratto, l’evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del solvens di restituzione della prestazione rimasta senza causa”[9].

Mutatio libelli e azione di ripetizione dell’indebito. Proprio a causa della natura principale dell’azione di ripetizione di indebito, la giurisprudenza, in passato, ha affermato che “la domanda di ripetizione dell’indebito, rispetto alla domanda di adempimento contrattuale o di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale originariamente proposta, integra una domanda nuova e come tale inammissibile, in difetto di accettazione del contraddittorio”[10].Il pagamento dell’indebito è di per sè fonte di obbligazione, fondata sul fatto del pagamento, che rientra tra gli altri “atti o fatti” di cui all’art. 1173 c.c.. Inoltre il risarcimento del danno da inadempimento presuppone non solo l’accertamento dell’esistenza del contratto, ma anche l’accertamento della responsabilità contrattuale e, quindi, dell’inadempimento colpevole, mentre nella ripetizione dell’indebito il presupposto è solo l’avvenuto pagamento e l’inesistenza di una causa solvendi, quindi un fatto.Anche il petitum sarebbe diverso, in quanto mentre nell’azione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, esso investe l’intero pregiudizio (art. 1223 c.c.), nell’azione di ripetizione esso è relativo alla sola restituzione di quanto indebitamente pagato (oltre ai frutti percepiti, che decorrono solo dalla domanda in caso di buona fede dell’accipiens, che peraltro si presume, art. 2033 c.c.).

La Corte concludeva rilevando che, mentre nei diritti c.d. autodeterminati il bene giuridico formante oggetto della domanda è individuabile nella sua essenza indipendentemente dalla causale che ne determina la richiesta, trattandosi in tal caso, come precisa la dottrina, di diritti (tipico quello di proprietà) che non possono coesistere simultaneamente più volte tra i medesimi soggetti, nei diritti c.d. eterodeterminati, invece, il bene richiesto acquista determinatezza solo mediante il collegamento con la causale addotta a sostegno della pretesa. In questa seconda ipotesi, infatti, vengono, dedotti diritti (tipicamente di obbligazione) che possono esistere contemporaneamente più volte fra i medesimi soggetti con lo stesso contenuto e che perciò richiedono, quale indispensabile elemento di individuazione, l’allegazione dei fatti costitutivi sui quali essi si fondano.

Ciò si rifletterebbe anche sul regime della ripartizione e del contenuto dell’onere della prova, dovendo nell’azione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, l’attore provare esclusivamente il contratto (ed eventualmente la propria prestazione se la stessa doveva precedere quella dell’altro contraente), mentre il convenuto deve provare di aver effettuato la propria prestazione ovvero che l’inadempimento non è colpevole. Spetta, invece, all’attore, nell’azione di ripetizione, provare l’avvenuto pagamento e l’inesistenza di una causa solvendi.

Specificava la Corte[11], motivando, che l’azione di responsabilità per inadempimento contrattuale (artt. 1453, 1218 c.c.) e l’azione di ripetizione di indebito sono azioni diverse ed autonome tra di loro, per cui nel giudizio instaurato per conseguire il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale, la richiesta di indennizzo per fatto lecito, come quella di ripetizione d’indebito, configurano domande nuove, stante la diversità di petitum o della causa petendi. Infatti l’azione di risarcimento dei danni per violazione del contratto ha come causa petendi il contratto e la responsabilità che dallo stesso consegue (artt. 1173, 1218 c.c.), mentre l’azione di ripetizione di indebito ha come causa petendi un “pagamento non dovuto”.

Obbligazioni restitutorie e risoluzione consensuale. Tuttavia, è altresì plausibile ipotizzare un obbligo di restituzione che sorga da un contratto stipulato tra le parti, il cui contenuto consista nell’obbligo di restituire una determinata cosa in caso di cessazione del rapporto per risoluzione o recesso. In questo caso, l’obbligo trarrebbe la sua fonte dal contratto e l’obbligo di restituire non discenderebbe dal venir meno della causa adquirendi, ma dalla fonte contrattuale, che da ad un soggetto il diritto di chiedere indietro dall’altra parte il bene oggetto di restituzione.

In un caso simile, dunque, l’azione esperibile sarebbe in via principale quella di restituzione (esatto adempimento contrattuale) e non quella di ripetizione di indebito, che viene invece in essere solo quando la causa adquirendi venga meno in giudizio e pertanto con essa venga a mancare la giustificazione della prestazione resa in esecuzione del contratto risolto.

Ius variandi ed azione di indebito oggettivo. l’azione di indebito, nel caso descritto al paragrafo che precede, potrebbe venire in essere come azione puramente contrattuale di esatto adempimento, la quale, in difetto di risoluzione, o in presenza di risoluzione contrattuale per mutuo consenso, troverebbe la propria fonte nel contratto stesso e non nel venir meno della causa adquirendi, che invece permarrebbe per espressa previsione contrattuale e coesisterebbe con l’obbligo di restituire. I fatti costitutivi dell’obbligo di restituire (esistenza del contratto, pagamento, restituzione delle somme pagate) sarebbero però identici a quelli che risulterebbero dalla diversa qualificazione della medesima vicenda come azione di ripetizione dell’indebito oggettivo.Resta ora da chiedersi se una domanda, proposta nel seno della prima memoria ex art. 183 c.p.c. o nel verbale della prima udienza, possa ritenersi ammissibile, oppure se debba considerarsi una mutatio libelli inammissibile.Innanzi tutto il regime della mutatio, secondo una tradizione risalente[12], il divieto di domande nuove non vale per le domande riconvenzionali, che sono proponibili, se provengono dall’attore entro la o in sede di udienza ex art. 183 c.p.c.[13], mentre nessuna pronuncia specifica emerge sulla proponibilità oltre il termine fissato ex art. 183, c. 4.Pertanto si deve ritenere preferibile l’opzione positiva, che ritiene ammissibile l’aggiunta della domanda di ripetizione di indebito in sede di prima udienza o di memorie ex art. 183 c.p.c., qualora il contratto prevedesse da se stesso un obbligo di restituzione in caso di inadempimento di contenuto identico a quello che sorgerebbe dalla qualificazione del pagamento come indebito in caso di dichiarazione di nullità del contratto, anche parziale.

La seconda ragione deriva dalla considerazione sopra esposta, che vorrebbe le due azioni (contrattuale e di indebito) avere entrambe il medesimo contenuto restitutorio e basarsi sui medesimi fatti costitutivi. Se infatti si ritiene convincente che tali valutazioni siano corrispondenti al vero, si potrebbe allora facilmente argomentare che l’aggiunta della richiesta di ripetizione dell’indebito altro non sarebbe che una diversa qualificazione giuridica dei medesimi fatti, sempre pacificamente ammessa[14], anche in sede di memorie ex art. 183 c.p.c.

La risposta affermativa sembra trovare fondamento in due ordini di ragioni.

Tale considerazione risulta molto rilevante, in quanto, qualora alla richiesta di adempimento del contratto di una parte corrisponda la richiesta di dichiarazione di nullità dello stesso, sarebbe interesse dell’attore di chiedere, come domanda conseguente alle difese del convenuto, di qualificare quelle somme, in subordine, come indebito oggettivo, dovendosi ritenere nullo il contratto.

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NOTE

[1] CARPI, F. – TARUFFO, M., Commentario breve al Codice di procedura civile, CEDAM, 2015, pag. 668, sub art. 183 c.p.c., parr. VI e VII;

[2] CARPI, F. – TARUFFO, M., Commentario breve al Codice di procedura civile, cit.; FAZZALARI, E., Note in tema di diritto e processo, Milano ,: A. Giuffrè, 1957, IV, 161 p.;

[3] Cass. 8 gennaio 2015, n. 40; Cass. 17 novembre 2014, n. 24400; Cass. 9 giugno 2014, n. 12958;

[4] Cass. 20 gennaio 2017 n. 1552; Cass. 23 maggio 2014 n. 11470;

[5] Cass. 31 luglio 2017, n. 18956; Cass. 17 novembre 2014, n. 24400;

[6] Cass. 12 febbraio 2003, n. 2104; Cass. 30 agosto 2013, n. 19958

[7] Cass. 10 maggio 2012 n. 7173;

[8] Cass. 20 luglio 2012, n. 12621; Cass. 28 gennaio 2015, n. 1585; Cass. 19 aprile 2017, n. 9920.

[9] Cass. 6 giugnio 2017, n. 14013; Cass. 16 dicembre 2016, n. 26062; Cass. 3 giugno 2016, n. 11490; Cass. 7 febbraio 2011, n. 2956;

[10] Cass. 20 febbraio 1998, n. 1788; Cass. 28 marzo 2006, n. 7083.

[11] Cass. 28 marzo 2006, n. 7083;

[12]CARPI, F. – TARUFFO, M., Commentario breve al Codice di procedura civile, cit.;

[13]Cass. 28 febbraio 2016, n. 3806; Cass. 13 maggio 2016, n. 9880; Cass. 4 ottobre 2013, n. 22754; Cass. 11 marzo 2006, n. 5390.

[14] Cfr. nota 2.

Riccardo Fratini

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